Nel 1914 la Germania, che aveva il possesso delle colonie nel Ruanda-Urundi (gli attuali Ruanda e Burundi), attacca le città del Congo Belga sul Lago Tanganica scatenando la reazione del Belgio, alleato della Gran Bretagna che era attestata in Uganda. Tra il 1915 ed il 1916, sia il Ruanda che il futuro Burundi cadono nelle mani degli Anglo-Belgi, in netta superiorità numerica. Nel 1918 la Società delle Nazioni, con il trattato di Versailles, assegnerà il protettorato del Ruanda-Urundi al Belgio e quello del Lago Tanganica alla Gran Bretagna. I Batutsi e Bahutu, così si chiamano la maggioranza degli abitanti della regione, cambiano padrone.
L’occupazione belga durerà fino all’inizio degli anni ’60, dopo che nel 1946 al termine della seconda guerra mondiale, la neonata Organizzazione delle Nazioni Unite conferma l’assegnazione del protettorato sulla regione al Belgio, assegnando però alla potenza coloniale il compito di “favorire il progresso economico, politico e sociale delle popolazioni, lo sviluppo della loro istruzione ed inoltre favorire il progresso verso la loro capacità di amministrarsi da soli”.
A questo scopo viene ristrutturata l’organizzazione amministrativa, riassegnando la gran parte della gestione territoriale agli autoctoni. Il Governatore belga si limitava a nominare un vice-Governatore che presiedeva il Consiglio Superiore del Paese formato dalla locale aristocrazia, in maggioranza sempre Batutsi (o Tutsi).
L’occupazione coloniale porta nella regione la religione cattolica, soppiantando radicalmente la religione tradizionale, basata sul culto animista di Kiranga. Chi non si convertiva godeva di meno diritti sociali. Così, tra il 1919 ed il 1937, una grande campagna missionaria di evangelizzazione converte la quasi totalità degli abitanti della regione dei Grandi Laghi. In particolare la Chiesa privilegia l’evangelizzazione dei Tutsi, in accordo con il potere coloniale, allo scopo di formare una classe dirigente locale affidabile e fedele; le Missioni hanno anche il compito di fornire istruzione ed educazione politica. Gli Hutu sono quasi completamente esclusi dall’accesso all’istruzione ed oggetto di discriminazioni.
Una statistica stilata nel 1963 indicava come il 60% della popolazione della regione fosse di religione cattolica, mentre i musulmani erano praticamente assenti.
Negli anni ’60 esplodono in Africa le lotte dei movimenti indipendentisti organizzati soprattutto dai Tutsi che detenevano molti ruoli chiave del potere amministrativo. A questo punto la Chiesa cattolica ed il Protettorato belga si rendono conto dell’errore commesso: di aver, cioè, privilegiato e formato una parte della società indigena che ora gli sta rivoltando contro e cercano di porre rimedio costituendo una lobby Hutu in funzione anti-Tutsi e quindi, si spera, anti-indipendentista; gli Hutu, da sempre tenuti lontano dalle leve del potere, hanno sviluppato astio e rancore verso i loro privilegiati conterranei.
Il clima di odio nella regione porta nel 1959, in Ruanda, al primo massacro di Tutsi da parte di una fazione Hutu che aveva tentato di mettere in atto una rivoluzione, sostenuti ed organizzati anche dalla Chiesa cattolica.
A fine 1959 il Governo belga cede alle pressioni internazionali ed annuncia un piano per dare l’autonomia alla regione; crea due sotto-governatorati, uno per il Ruanda e l’altro per l’Urundi, separandone l’amministrazione da quella del Congo.
Il Burundi diventa, così, una monarchia costituzionale con un re Tutsi, ispirata a quella belga; il Belgio dovrà rispettare una risoluzione ONU che lo invita a lasciare completamente il Paese entro il 1 agosto del 1962. Ma nel 1961 avviene un colpo di stato, sostenuto dal Belgio, che instaura nel Paese un governo repubblicano Hutu. Ma poco dopo il primo ministro Hutu viene assassinato ed il suo posto è preso da un Tutsi, che si ritrova però a capo di un Governo molto debole.
Gli odi tra le due componenti, Tutsi ed Hutu, ricevono nuovo combustibile quando nel 1965 viene di nuovo assassinato il primo ministro Hutu, Pierre Ngendandumwe ad opera di un estremista Tutsi; una enorme provocazione che rinfocola la rabbia.
Poco dopo un gruppo di Hutu tenta un colpo di stato ed in tutto il Paese avvengono delle rappresaglie contro i Tutsi, per il solo fatto che appartengono a questo gruppo sociale. Ma il colpo di stato fallisce, per la grande inferiorità di risorse militari ed economiche di cui gli Hutu dispongono e viene represso brutalmente dai Tutsi che riprendono il potere compiendo a loro volta massacri e dure repressioni: i morti sono migliaia.
Anche i grandi eccidi avvenuti nel 1972, nel 1988 e nel 1991-1993 non saranno altro che riedizioni della stessa storia; solo nel 1972 gli scontri etnici lasciano sul terreno circa 150.000 Hutu morti (i Tutsi compongono il 15% della popolazione del Burundi, il restante 85% sono Hutu).
Un primo spiraglio di pace si apre nell’agosto del 2000 con gli accordi di Arusha (città della Tanzania sede, tra l’altro, di un Tribunale penale internazionale) quando viene siglato un accordo di cessate il fuoco tra Governo e forze ribelli grazie alla prestigiosa mediazione del Presidente del Sudafrica Nelson Mandela.
Continuano, comunque, le razzie, gli scontri e sanguinose rappresaglie perché le forze ribelli Hutu, CNDD (Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia), FDD (Forze per la Difesa della Democrazia) e le FNL (Forze di liberazione nazionale) restano ancora le principali antagoniste del Governo di coalizione nazionale rifiutando ogni ipotesi di dialogo con il Governo, accusato di essere succube delle forze armate, guidate per ora dai Tutsi, secondo loro i veri detentori del potere in Burundi.
l’8 ottobre 2003 è stato firmato un accordo definito “storico” tra Governo e CNDD-FDD, grazie alla la mediazione del Presidente del Sudafrica Thabo Mbeki e del Presidente del Parlamento sudafricano Jacob Zuma, mediatore-capo per il processo di pace in Burundi.
Nell’accordo è stato deciso il futuro assetto che dovranno avere Governo e Parlamento, ma soprattutto la ripartizione del controllo sulle forze armate. Le FDD occuperanno il 40% dei posti-chiave dell’esercito ed il 35% delle forze di polizia.
Sul piano politico le FDD hanno ottenuto quattro Ministeri e la vicepresidenza, nonchè 15 seggi in Parlamento.
Finalmente, dopo il terribile genocidio, libere elezioni hanno portato alla normalità democratica.
Attualmente il clima sociale e politico è di fiduciosa attesa: si avverte la speranza e l’aspettativa di una ripresa delle attività economiche sostenuta da interventi di cooperazione internazionale non più limitate alla emergenza.