Carla Palleggi, Settembre 2009
“ Dormivo e sognavo che la vita era godere.
Mi svegliai e vidi che la vita era servire.
Servii e capii che servire era godere “
Con questi versi di Tagore Carla chiude il suo racconto del suo primo viaggio in Burund, testimonianza di un’avventura che si è rivelata un “viaggio dell’anima“. Difficoltà iniziali dovute al clima e alle scomodità hanno poi condotto Carla a sentirsi parte di questa gente che sa offrire con orgoglio e calore il poco che possiede. Curiosità per tutto ciò che è nuovo: i bambini che si divertono a farsi fotografare e a rivedersi in foto, il paesaggio dai colori forti, il mercato, le biciclette sovraccariche. Poi la visita al popolo Batwa, senza cittadinanza né diritti, ma in festa per la grande conquista di un documento di identità che afferma la loro esistenza civile. Conoscenza di Claudina, missionaria laica che sta dedicando tutta se stessa al popolo Batwa. Infine visita alle garderies , e gioia nel vedere che il progetto va avanti. Piacevole anche l’incontro con gli amici che collaborano per il sostegno scolastico .
Poi la partenza per il rientro: tornare dalle proprie famiglie è bello, ma la malinconia di lasciare questo posto che è diventato “ tuo “ è profonda .
Arrivati a Bujumbura, la capitale, un’aria caldissima ci ha subito storditi e saliti sul pulmino siamo arrivati in ‘albergo’.
Camere spoglie, coperte di colori improponibili, bianche zanzariere sul letto, un triste tavolinetto per comodino, niente bagno in camera, doccia comune con acqua rigorosamente fredda e … spesso senza corrente elettrica.
Doccia frettolosa e subito a cena fuori, ospiti dell’Associazione scout del Burundi.
Arrivati in una specie di spiazzo, un tavolo e delle sedie nel centro, nel buio totale, ci viene portato un piatto con del pesce e patate fritte … senza posate.
Imbarazzo, difficoltà nel mangiare al buio, qualche risata ma … l’atmosfera è stranamente suggestiva, il calore delle persone lo senti, la gioia di averci lì con loro la percepisci, l’entusiasmo di offrirti, con orgoglio, quello che per loro è il meglio è autentico e improvvisamente cominci a fare parte fortemente del momento.
La mattina si va a piedi alla cattedrale, non simile alle nostre, ma bella nella sua semplicità.
Sulle scale della Chiesa poveri, laceri e sporchi, chiedono elemosine, bambini deformi e molti con arti mancanti ti si avvicinano: sembra di vivere la scena del Vangelo di Gesù tra i lebbrosi; l’emozione è forte; dentro la Chiesa, piena di fedeli, siamo gli unici bianchi; il caldo è insopportabile, la gente ti guarda con curiosità, si prova un vago disagio ma la messa è comunione per tutti e i canti armonici, ritmici e melodiosi, come solo la gente d’Africa sa fare, di una dolcezza e di una levità divina ti fanno sentire fortemente appartenente al momento.
Poi al mercato, dove un’orgia di colori e di odori ti sopraffà; da comprare ci sono ananas, banane, avocadi, fagioli e poche altre cose; la povertà è palpabile, i bambini sono magri, sporchi e coperti con vestiti così logori e bucati che ti chiedi perché li indossino ma, all’improvviso, ti circondano, ti guardano, ti sorridono gioiosi con i loro denti bianchissimi, si fanno fotografare e ,con grande stupore e divertimento, si rivedono nelle macchine digitali ed immediatamente tutto quello che prima ti sembrava assurdo assume la dimensione di un grande gioco tra persone che si appartengono.
Partiamo per Muyinga per visitare le Garderies, scuole primarie materne sostenute da ECCOMI, percorrendo una delle poche strade asfaltate del Burundi. Dalla parte bassa del paese, dove si trova il lago Tanganica, si comincia a salire verso una regione prima collinare che poi dolcemente arriva a quote più alte: Muyinga si trova a circa 1000 metri di altezza.
Il paesaggio è bello!
Il contrasto tra la terra rossa, di un rosso quasi aggressivo, ed il verde gentile e riposante dei bananeti e delle piantagioni di caffè è uno spettacolo incantevole.
Il percorso è costellato di incontri con piccoli villaggi, con bambini che piangono terrorizzati alla nostra vista, non avendo mai visto un bianco, con persone che faticosamente trasportano acqua o altre cose a piedi o con biciclette, talmente cariche, che sembra impossibile si possano muovere: fatiche antiche della povera gente !
Arrivati a Muyinga.conosci una città che è lo specchio della povertà di questo paese: strade non asfaltate, assenza di fogne, case povere e baracche, mancanza di acquedotto, buio totale dalle 19 in poi.
E … a pochi chilometri dalla città i villaggi Batwa.
L’etnia Batwa, conosciuta per lo più come i Pigmei, sono i poveri tra i poveri considerati dalle etnie Toutsi ed Hutu meno di niente.
I loro villaggi sono di una povertà indescrivibile; vedi bambini con pancioni gonfi, con occhi pieni di mosche, teste torturate dalla tigna, bambini insolitamente biondi a causa della la denutrizione che toglie la pigmentazione ai capelli, ed ovunque fame, fame e ancora fame: è uno spettacolo insopportabile!
Ti sale una rabbia sorda quando sai che basterebbero 10 centesimi per poter garantire la sopravvivenza ad un bambino: il costo di un avocado ed una manciata di noccioline, l’apporto calorico sufficiente per poter vivere.
I Batwa non “esistono” neanche per la loro stessa nazione non essendo ancora censiti. L’associazione ECCOMI sta sostenendo le spese perché i comuni diano loro i documenti di identità.
Siamo fortunati a trovarci qui in questo momento: domani c’è grande festa poichè vengono consegnate a 300 Batwa le carte di identità.
In una enorme stanzone stanno assiepate moltissime persone, coloratissime nei loro vestiti da festa; i bambini si muovono con insolita tranquillità, molte giovani madri allattano i propri bimbi; siamo sopraffatti dal caldo e dagli odori ma c’è una piacevole atmosfera di festa.
La consegna è commovente: ognuno di loro, sono tutti o quasi analfabeti, intinge un polpastrello in un tampone imbevuto di inchiostro, che viene porto dal Presidente di ECCOMI, ed imprime la propria impronta sulla carta di identità.
Questo insignificante pezzetto di carta con la loro prima, e probabilmente unica, fotografia da oggi afferma la loro esistenza e la loro identità e permetterà loro di poter votare e, forse , di ottenere un piccolo pezzo di terra da coltivare .
Viene poi portato un fusto con birra fatta da loro, una cosa preziosa, servita solo per le loro rare feste, e tutti bevono dalle stesse due cannucce.
Poi si balla tutti insieme e nella eleganza e nell’armonia di questi semplici balli percepisci tutta la dignità di un popolo che anche se povero, affamato, lacero, schiavo della ignoranza, è ricco di un patrimonio di tradizioni a noi completamente sconosciuto.
Il grande cerimoniere di questa festa è una splendida ragazza trentenne di Brescia, Claudina, che ha scelto di fare la missionaria laica.
Sono già tre anni che lavora in Burundi ed è lei, insieme a una piccola equipe, che ha fotografato ogni Batwa, raggiungendo faticosamente con la sua macchina tutti i villaggi, che ha stampato e riempito le schede per le carte di identità, la sera tardi, perché tutto il giorno lavora ininterrottamente, curando, sfamando, insegnando a grandi e piccoli.
Ci ha detto che ogni sera, al lume delle candele, ringrazia Dio per la bella vita che le ha donato.
A Lei tutta la nostra stima ed ammirazione.
Poi giorni di giri nel verde Burundi, per raggiungere tutte le località dove ECCOMI sta operando.
Un momento di gioia nel constatare che le Garderies, le scuole materne costruite e gestite dall’Associazione scout del Burundi di cui Eccomi è partner per questo progetto,vanno avanti ed hanno fatto progressi; un generatore di corrente elettrica inviato in una scuola è rotto e vi sono difficoltà per ripararlo, ma si provvederà; gioia nel vedere la decorticatrice per il riso, alla cui messa in opera ha collaborato ECCOMI, entrare in funzione e dare frutti; gioia nell’incontro con gli amici con cui collaboriamo per le adozioni a distanza; sconcerto nel constatare le difficoltà che impediscono l’avvio del funzionamento del Centro Giovani.
Sono già passati i nostri dieci giorni di viaggio: si torna a casa.
Siamo tutti contenti. Si torna dai figli, dai mariti o dalle mogli, si torna alla propria vita ma ognuno di noi prova una profonda malinconia: stiamo lasciando un posto che stranamente senti che è diventato tuo e non ci stupiamo quando tutti noi diciamo
“Quando torniamo in Burundi dobbiamo fare …”.
E’ certo: torneremo tutti.
Carla Palleggi per ECCOMI